Le potenzialità del Museo Nahon non sono certo un mistero per Andreina Contessa, attuale direttore del Museo Storico e del Parco del Castello di Miramare a Trieste e conservatore/capo curatore del Museo d’arte ebraica italiana di Gerusalemme dal 2009 al 2017.
“Un’esperienza significativa e formativa. Fondamentale anche perché venivo dal mondo accademico e lavorare per un museo ha rappresentato una sfida molto diversa dalle precedenti” spiega la storica dell’arte e studiosa d’origine bresciana, cresciuta a Mantova e la cui frequentazione di Gerusalemme è iniziata nei primi Anni Novanta. “È la città in cui io e mio marito abbiamo vissuto più a lungo”, sottolinea. Un museo speciale “anche per via della sua collezione ricca di qualità e con pochi eguali”. Nel momento in cui se ne gettarono le basi col trasferimento degli arredi dall’Italia, ricorda Contessa, “non esisteva ancora il museo d’Israele; era nel complesso un Paese ancora disadorno di testimonianze artistiche; anche per questo il Tempio italiano e gli arredi dell’Italia ebraica suscitarono attenzione e ammirazione”. Non è un caso “che ad inaugurare il Tempio sia stato un Presidente d’Israele, Itzhak Ben-Zvi, e che per l’occasione sia stato anche emesso un francobollo raffigurante l’arca di Conegliano Veneto: tutto il Paese iniziò così ad avere familiarità con esso”. Secondo Contessa il Tempio italiano “è la sinagoga più bella non solo di Gerusalemme, ma di Israele: un luogo in cui si avvertono al tempo stesso storia, bellezza e armonia”.
Tra le circostanze più emozionanti della sua esperienza al Nahon il ritrovamento, in un armadio, di un quaderno appartenuto al dirigente sionista dove “con semplicità commovente” erano annotati doni e arredi provenienti dalle varie Comunità italiane. Che a un certo punto, spiega Contessa, “fecero a gara ad esserci con qualcosa di loro”.
Tanti i ricordi entusiasmanti di quel periodo. Tra gli altri l’ex curatrice cita una mostra in onore di Lele Luzzati, il grande maestro del disegno genovese di cui ricorreva di recente il centenario, un’altra per il cinquecentesimo anniversario dall’istituzione del Ghetto di Venezia, un allestimento di Chanukkiot alla Knesset (il Parlamento israeliano). La sfida, in quegli intensi anni di lavoro a Gerusalemme, “è stata duplice: far conoscere la figura del fondatore e al tempo stesso la storia e l’identità particolare dell’ebraismo italiano attraverso le sue collezioni”.
“La ricchezza delle collezioni del Nahon è uno stimolo incessante a progettare mostre e iniziative: non potrebbe essere altrimenti” conferma un’altra ex curatrice, Anastazja Buttitta, che fu chiamata a sostituire Contessa mentre stava svolgendo un dottorato alla Ben Gurion University sui gioielli dell’epoca rinascimentale a Venezia. La mostra cui più è affezionata è “The Crown”, allestita alle porte del Covid. Un suggestivo itinerario sul simbolo della corona nell’ebraismo e sui molteplici richiami e significati intrecciati. Punto di partenza un insegnamento dei Pirkè Avot, le Massime dei Padri: “Rabbi Shimon diceva: ci sono tre corone, quella della Torah, quella del sacerdozio e quella del regno; ma la corona di un buon nome è superiore a tutte”. Accompagnavano il percorso alcune corone della Torah “scelte da sinagoghe italiane e tra le più belle al mondo”. Diversi stili. Ma, sottolinea Buttitta, “la stessa magnificenza”. Quella magnificenza che, dalla piccola alla grande arte, fa del patrimonio del Nahon qualcosa di davvero unico all’interno della cultura e società israeliana.
Dossier Pagine Ebraiche Luglio 2022